Uno/scritti

M. viene dall’Iran. Non mi dice l’età ma avrà vent’anni.

Studia Informatica e Programmazione, “non è così straordinario, in Iran è molto popolare, lo fanno tutti”, mi dice.

Tipo Scienze della Comunicazione da noi in Italia, penso, e mi sento un po’ scemo per essermi stupito dei suoi studi, oltre a continuare a sentirmi scemo per i miei.

M. è scappato per motivi politici, come tanti qui, ma la sua storia ha un gusto un po’ rétro che mi porta alla mente camicie kaki, cappelli Fedora e nazisti sconfitti a colpi di frusta.

Solo che Indiana Jones con l’Iran non c’entra nulla e mi rimetto ad ascoltare la sua storia. “Mio nonno era un dignitario dello Scià Mohammed Reza Pahlavi, mi raccontava dell’Imperatrice Farah, delle auto di lusso e di Khomeini. Dopo la rivoluzione sono iniziate le persecuzioni per la mia famiglia”.

Non ha piacere di scendere nei particolari ed io non insisto, ma mi dice che la situazione in Iran si era fatta troppo pericolosa e che sono stati costretti a scappare per il rischio di venire uccisi.

– “Sono partito con la mia famiglia”

– “Ah, e sono qui a Samos?”

– “No”

Anche qui non vado oltre con le domande.

M. è un esempio perfetto di un aspetto ricorrente che mi ha molto colpito fra le persone con cui ho parlato: la calma.

Gli studi persi, la casa abbandonata, solo, in attesa dell’appello che sancirà la sua espulsione dall’Europa e la calma, consapevole e indefinibile.

E’ qualcosa che non riesco a capire fino in fondo, ci sto provando da giorni ma sarà probabilmente impossibile. Non sembra esserci rassegnazione ma nemmeno speranza, non è passiva accettazione ma senza la voglia di urlare in faccia a nessuno. Però non è una calma vuota, non c’è una posizione mediana che permette a queste persone di rimanere in equilibrio, dentro di loro c’è ogni sentimento, sovrapposto l’uno all’altro, in ogni momento.

Mi viene in mente un’interpretazione del paradosso di Schrodinger, con il gatto allo stesso tempo sia vivo che morto perché entrambe condizioni realizzate in diversi stati dell’Universo. Ecco, M. per me è questo, un Universo in cui lui, nello stesso momento, è immobile per la disperazione e tira fuori tutta la sua rabbia, sa che lo deporteranno in Iran ma pensa a riprendere gli studi in Europa, è felice della sua vita ma sa di averla perduta. Come sia possibile non posso saperlo, forse perché M. ha piena consapevolezza di aver preso in mano un destino totalmente scelto da lui e allo stesso tempo di non aver alcuna possibilità di indirizzarlo verso alcuna direzione. Vive nell’indeterminatezza per poter rimanere quello che è.

A un certo punto mi viene da pensare di essere davvero dentro a una delle condizioni possibili dell’Universo di M., di essere una coincidenza capitata a Samos solo per completare in maniera armonica una piccolissima e forse ininfluente sezione della sua vita. Iniziamo a parlare e a progettare un lavoro con cui esprimere le sue necessità espressive. “Quali sono i tuoi problemi più grossi? Cosa ti piace dell’isola? Su cosa vorresti concentrarti per parlare di te?”. E lui risponde “Vorrei fotografare fiori. Fiori e piante, soprattutto gli alberi mi piacciono molto”. Fiori, questo è il soggetto che ha trovato qui a Samos per parlare di sé stesso e in cui condensare ciò che è stata la sua vita finora. Non vuole mostrare il campo, non vuole fotografare i migranti e nemmeno uno spettacolare tramonto sul mare.

Un ragazzo di vent’anni iraniano ha scelto la stessa strada presa da me, anni fa, per parlare di me stesso, dei miei dolori e delle mie gioie.

Alla fine, forse siamo entrambi condizioni possibili dell’Universo. Sicuramente sono grato a M. per avermi dato la possibilità di essere parte della sua calma.

 

Andrea Luporini

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