Yassen e Mohammed sono giunti sull’isola da un paio di giorni. Li incontriamo nei pressi del campo, non possono allontanarsi per 25 giorni, il tempo necessario alle autorità per sbrigare le pratiche formali relative alla loro registrazione. Ma posto nel campo non ce n’è più. Così vengono indirizzati verso i terrazzamenti di olivi adiacenti all’ingresso principale. Non c’è neanche più una tenda per loro e da due notti dormono su un tappetino dell’UNHCR, sotto un ulivo, sopra la polvere.
Yassen sorride, a vederlo potrebbe essere un volontario appena arrivato dalla Spagna o dall’Italia, non lo abbiamo mai incontrato nei giorni precedenti. Si avvicina ci offre una sigaretta lunga e sottile sfilandola da un pacchetto nero: dentro le ultime tre sigarette comprate in Turchia. Ci chiede se può scendere in paese a cercare un lavoro. E’ un hair stylist e a Damasco, nella sua città, aveva un salone conosciuto da tutti. E’ esuberante, e il suo sorriso è contagioso, dice che vuole andare in Spagna, che non vuole stare lì. Gli chiediamo se vuole raccontarci la sua storia. Accetta subito e corre a chiamare il suo amico Mohammed.
Viene dalla Siria anche Mohammed, è più introverso. E’ ingegnere meccanico: lavorava per il governo, è venuto via dalla Siria perché ha già visto troppi morti. Insieme formano una strana coppia ma l’affiatamento si percepisce al volo.
Capiamo subito il perché: si sono conosciuti due giorni prima sulla barca che dalla Turchia li ha traghettati dritti dentro il “sogno” Europa.
Li facciamo sedere su una panchina, e li lasciamo raccontare. Alla fine Mohammed ci ringrazierà per avergli dedicato il nostro tempo.
Ci viene in mente, dopo averli salutati, che proprio due giorni prima, verso le 7 di sera, eravamo dall’altra parte della baia, vicino al porto di Malagari e abbiamo assistito all’approdo di una nave della Guardia Costiera che aveva appena recuperato in mare aperto circa settanta migranti intercettati su una imbarcazione al largo di Agios Konstantinos. D’istinto abbiamo scattato una foto, da lontano.
Chissà se tra quelle settanta persone fatte scendere sulla banchina c’erano anche i nostri due nuovi amici.