DAY 17_ON THE BOAT

ARRIVALS

Yassen e Mohammed sono giunti sull’isola da un paio di giorni. Li incontriamo nei pressi del campo, non possono allontanarsi per 25 giorni, il tempo necessario alle autorità per sbrigare le pratiche formali relative alla loro registrazione. Ma posto nel campo non ce n’è più. Così vengono indirizzati verso i terrazzamenti di olivi adiacenti all’ingresso principale. Non c’è neanche più una tenda per loro e da due notti dormono su un tappetino dell’UNHCR, sotto un ulivo, sopra la polvere.

Yassen sorride, a vederlo potrebbe essere un volontario appena arrivato dalla Spagna o dall’Italia, non lo abbiamo mai incontrato nei giorni precedenti. Si avvicina ci offre una sigaretta lunga e sottile sfilandola da un pacchetto nero: dentro le ultime tre sigarette comprate in Turchia. Ci chiede se può scendere in paese a cercare un lavoro. E’ un hair stylist e a Damasco, nella sua città, aveva un salone conosciuto da tutti. E’ esuberante, e il suo sorriso è contagioso, dice che vuole andare in Spagna, che non vuole stare lì. Gli chiediamo se vuole raccontarci la sua storia. Accetta subito e corre a chiamare il suo amico Mohammed.

Viene dalla Siria anche Mohammed, è più introverso. E’ ingegnere meccanico: lavorava per il governo, è venuto via dalla Siria perché ha già visto troppi morti. Insieme formano una strana coppia ma l’affiatamento si percepisce al volo.

Capiamo subito il perché: si sono conosciuti due giorni prima sulla barca che dalla Turchia li ha traghettati dritti dentro il “sogno” Europa.

Li facciamo sedere su una panchina, e li lasciamo raccontare. Alla fine Mohammed ci ringrazierà per avergli dedicato il nostro tempo.

Ci viene in mente, dopo averli salutati, che proprio due giorni prima, verso le 7 di sera, eravamo dall’altra parte della baia, vicino al porto di Malagari e abbiamo assistito all’approdo di una nave della Guardia Costiera che aveva appena recuperato in mare aperto circa settanta migranti intercettati su una imbarcazione al largo di Agios Konstantinos. D’istinto abbiamo scattato una foto, da lontano.

Chissà se tra quelle settanta persone fatte scendere sulla banchina c’erano anche i nostri due nuovi amici.

 

DAY 16_QUESTIONE DI FORMA

Stasera siamo invitati a partecipare alla lezione di fitness del lunedì. L’insegnante si chiama Graham, un ragazzo americano dei Samos Volunteers. I partecipanti non sono mai meno di venti e non si risparmiano per nulla, anzi, forse galvanizzati dalla nostra presenza, sembrano fare a gara a chi fa più addominali e flessioni. Le lezioni si tengono in un’area sopra al campo, oltre le recinzioni e le luci che illuminano a giorno le tende dei migranti. Due macchine puntate verso il cerchio di corpi a far luce con i fari, nel mezzo un lettore mp3 per tenere il ritmo. L’esercizio fisico è fondamentale per questi ragazzi: molti sono veri atleti, altri li diventeranno presto, di questo passo. Alcuni sono semplicemente bambini che imitano gli esercizi dei grandi. Non è solo una questione di salute, scaricare la tensione con la fatica mista alla soddisfazione di vedere il proprio corpo plasmarsi intorno a un canone ideale aiuta non poco questi ragazzi a sopportare le condizioni in cui sono costretti a vivere. Non fossimo al buio, ai margini di un bosco fra polvere e tappetini sporchi, sembrerebbe proprio di essere in una palestra.

È questione di forma.

Tonight we have been invited to participate to the Monday’s fitness course. The coach is Graham, an American boy working for the Samos Volunteers.

The course is placed in the upper area of the hotspot, but outside the fences.The physical exertion it’s extremely important for most of refugees: lot of them are professional athletes.
Blow off some steam it’s another reason that motivate them to exercise even if they are not at the gym with all its comforts.

DAY 15_COINCIDENZE

Queste immagini documentano un percorso diverso da quelli realizzati finora. Il lavoro di Rene Jean è il frutto dell’incontro fra artisti e dell’ispirazione reciproca che ne è scaturita.

This images represent a different path from the others. The work of Rene Jean it’s the result of the meeting between artists and their reciprocal inspiration.

Durante la prima riunione con i migranti, Rene era presente: non ha parlato, ma mi ha subito colpito la sua fisicità. Guardandolo, ho pensato a lui come primo soggetto di un progetto fotografico che avevo in mente di fare qui sull’isola, continuazione di un lavoro sul tema della migrazione iniziato insieme a due artiste italiane.

Lo immaginavo in piedi, con una coperta legata al collo come un supereroe. Dopo la riunione è venuto a parlarci: è un artista, ci dice, ha studiato in una scuola d’arte italiana in Camerun. Ci mostra i suoi lavori. Una scultura di un uomo, in piedi, con una coperta al collo, mi colpisce particolarmente.
Così, iniziamo a parlare delle nostre idee, dei nostri lavori, ce li mostriamo. Come vasi comunicanti a livello sotterraneo: le mie immagini influenzeranno le sue, e così viceversa. Entrambi ne siamo pienamente consapevoli.

During the first meeting Rene didn’t talk but I was immediately impressed by his physicality. I immediately understand that he was perfect to be the subject of my photographic project that I was thinking to do here in Samos, as a continuation of my project of migration started with two Italian artists.

I started imagine him as a superhero. After the meeting he came to speak with us: he told us he’s an artist, he has studied in an Italian school of photography in Camerun. He showed us his works. A sculpture of a man, standing, with a blanket tied up to his neck.We started show each others works and talk about our ideas and projects. I know my images will influence his works, and vice versa.

 

“Esiste un solo mondo, non esistono i confini, soprattutto mentali. L’arte è condivisione”

Day 13_ Under Olive Trees

Day 13_Under Olive Trees
Day 13_Under Olive Trees

Diversi pomeriggi a settimana organizziamo un’attività con i bambini che vivono al campo. Parlano differenti lingue, hanno età diverse e come tutti i bambini nel mondo hanno voglia di giocare e molta energia da spendere. Il luogo destinato alle attività si trova all’esterno dell’ingresso principale dell’hotspot di Samos. È un piccolo terrazzamento di ulivi che si affaccia sulla baia di Vathi, un luogo esterno al campo che di giorno in giorno cambia volto. Spesso i nuovi arrivi, non trovando posto all’interno dell’hotspot si fermano qui, piantano tende e fissano teli, creando uno spazio dove potersi fermare. E aspettare.

In questo spazio sospeso, campo-non-campo, i bambini si ritrovano ogni pomeriggio per giocare. Anche sotto gli ulivi, il sole non da tregua.

During the week we use to dedicate two or three days for the activities for the children living in the hotspot. They speak different languages and have different ages, but as all the kids they want to play continuously. The place we use to organize the activities it’s a small area surrounded by olive trees. This area use to change every day: when new refugees arrive they placed themselves there with tents because the hotspot inside it’s already overpopulate.

 

Organizziamo un gioco per creare un albero a misura di bambino che diventi contemporaneamente anche un mantello-ombra. I bambini accolgono la nostra idea e iniziano a creare opere multicolore che non vedono l’ora di indossare. Ognuno vuole l’immagine del proprio albero: da solo, in compagnia, in gruppo.

Ci ritroviamo a scattare foto e non distinguiamo più gli ulivi dagli alberi-bambini, la polvere della terra si alza. Ci sentiamo improvvisamente in un bosco scosso dal vento, i bambini corrono, sorridono e illuminano uno spazio sospeso, un’attesa che gli adulti che sono seduti intorno hanno impressa nei volti in un’espressione svanita.

Today we have organized a sort of laboratory to create a tree with pieces of paper and glue. The children are happy to work on something different from the usual games.

We started to take photos to the children with their trees. The children are running everywhere, they are smiling and shining over the waiting that is consuming the adults sitting in the tents.

AI LATI_RICERCHE IN CORSO

Continuano le ricerche personali di Wissam Andraos, Chiara Corica, Giulia Dongilli e Andrea Luporini.

Tutte le fotografie sono state scattate sull’isola di Samos durante le settimane di lavoro coi migranti, e si collocano quindi all’interno di progetti in corso e in continua evoluzione.

Per visualizzare le immagini finora realizzate, selezionare la sezione “Ricerche in corso|ai lati” dal menu principale.

Giulia Dongilli, She, Samos, 2017
Giulia Dongilli, She, Samos, 2017

The projects of our four photographers Wissam Andraos, Chiara Corica, Giulia Dongilli and Andrea Luporini are evolving constantly.

All the photography have been taken in Samos during this weeks with the refugees.

To see the other works realized please take a look to the section “Ricerche in corso|ai lati” .

Day 12_Rose is a rose is a rose is a rose

Day 12_Rose is a rose is a rose is a rose
Day 12_Rose is a rose is a rose is a rose

Anche se non sempre il tempo e le condizioni lo permettono, riuscire a lavorare singolarmente con alcuni tra i migranti è, tra le varie esperienze, intenso ed incredibilmente interessante. Permette di creare un’intimità e un legame che, lavorando in gruppo, risulta certamente più complesso.

Il lasso di tempo che trascorriamo sull’isola sembra dilatarsi e restringersi continuamente in maniera quasi schizofrenica, ma alcuni progetti nati in questi giorni raccontano di una dimensione temporale ancora diversa, quasi parallela alla realtà. Una dimensione dove la distanza che ci separa da chi vive all’interno dei cancelli dell’hotspot di Samos sembra farsi più labile.

Even if it’s not always possible, working singularly with migrants it’s one of the most interesting and inspiring experiences. It permit to build the reciprocal confidence.

Some of the projects we made in the last days are based on a temporary dimension. It’s a dimension where the distance that dived us to the people living inside the hotspot of Samos seems to be more labile.

Mohammad vuole fotografare, tra le tante possibili ipotesi, i fiori. Appena ne ha l’occasione, appena si trova fra le mani una macchina fotografica, è proprio quello che fa. Il suo lavoro, caso vuole, si intreccia e si lega a quello di Andrea Luporini, e insieme danno vita a un piccolo progetto che sembra, in qualche modo, racchiudere grande parte del significato del lavoro svolto sinora a Samos.

Mohammad wants to take a photo of some flowers.
The images he took with the camera it’s linked with the photos of Andrea Luporini, and together they gave life to a small project that seems to perfectly represents the work did in Samos until now. 


Andrea Luporini | Mohammed M., A Garden, eventually, Samos, 2017
Andrea Luporini | Mohammad T., A garden, eventually, Samos, 2017

Queste immagini documentano il lavoro realizzato insieme a Mohammad, studente di Informatica: l’opera, realizzata a quattro mani, è frutto di un incontro, una comunione di intenti lontana nel tempo e nello spazio. Mohammad non è interessato alla denuncia, non vuole mostrare i migranti e le condizioni in cui vivono. Vuole fotografare la natura, quella piccola, fra ombra e luce. Perché è così che si sente. Il risultato è un’immagine dal titolo A garden, eventually, un collage di fotografie che creano un luogo inesistente nella realtà ma che rappresenta una speranza di condivisione fra mondi diversi.

This pictures represent the work realized with Mohammad, a student of cyber: the work is the result of the meeting between the inspirations of the two artists. Mohammad is not interested in denouncing the conditions and the situation in which refugees used to live in the hotspot. He wants take photos of nature, and the result it’s an image titled “A garden, eventually“, a collage of photos used to create a non – existent place.

 

“Voglio essere parte della bellezza di questo mondo e voglio regalarla agli altri”

Mohammad T.

Day 10_Post-production

La post-produzione è uno step fondamentale, in un corso base di fotografia. Ho cominciato la lezione introducendo tutti gli strumenti che è possibile utilizzare per editare le immagini, raddrizzare le linee, tagliare le inquadrature, regolare luci, ombre e colori e lavorare coi livelli con Photoshop. Successivamente, le lezioni si concentreranno su come utilizzare le immagini editate, diffondendole sui social o attraverso i media.

 


Le immagini non nascono solamente nell’istante in cui vengono scattate, ma più volte: quando vengono editate, modificate, rese pubbliche. La consapevolezza che all’interno di ogni immagine se ne possano trovare molte altre è oggi fondamentale, specialmente se si ha intenzione di utilizzare pubblicamente le proprie fotografie, mostrarle a un’utenza – quella del web – sempre più internazionale e varia.

Insegnare a modificare e gestire le proprie immagini può essere un fondamentale strumento nelle mani di chi ha necessità di raccontare la propria storia, la propria condizione.


Day 10_Post-production
Day 10_Post-production class

Day 9_Se l’interprete non serve

Day 9_Se l'interprete non serve

Seduti attorno al tavolo eravamo in tre. Avevo dato appuntamento a due di loro il giorno precedente, sperando che qualcuno si sarebbe aggiunto.
Appena sfilo le riviste dalla borsa e comincio a spiegare come impostare il lavoro, l’attenzione di tutti i ragazzi presenti all’interno della stanza viene catalizzata dalla nostro piccolo bivacco. Curiosi, osservano i due che ritagliano immagini dai giornali.

Passano pochi secondi e il cerchio si allarga: non siamo più in tre, ma molti, e tutti vogliono ritagliare le loro immagini. Penso che è pazzesco, non mi serve neanche parlare. Si guardano a vicenda e sanno già cosa fare, che immagini scegliere e cosa raccontare.

Ognuno di loro parla il linguaggio delle immagini, e mi rendo davvero conto solo ora, della risorsa reale che questo rappresenta.

 

Continua il lavoro iniziato la settimana scorsa: questo laboratorio si focalizza sullo statuto delle immagini, sulla capacità che hanno di raccontare qualcosa di ognuno di noi, anche se non sono direttamente prodotte da noi. Il collage, primo step del workshop, mette in gioco la capacità non soltanto di leggere un’immagine, ma soprattutto quella di sceglierla. Una sorta di ready-made neanche tanto inconsapevole, che consiste nel prelevare frammenti di realtà e investirli di un significato nuovo, personale e narrativo. I risultati sono concreti e per noi decisamente interessanti: i ragazzi riescono a raccontarci le loro storie senza bisogno di traduzioni. L’interprete è l’immagine.

Day 8_Karate: what I used to be

L’obiettivo di questo workshop è di produrre vere e proprie opere realizzate dai migranti, attraverso un percorso di progettazione condiviso.

Day 8_Karate: what I used to be
Day 8_Karate: what I used to be

Il dialogo è fondamentale: partendo dai racconti di ognuno di loro, dalla vita nei paesi d’origine, al viaggio, alla situazione attuale, individuiamo le loro necessità espressive a cui dar forma attraverso l’uso dell’immagine.

Insieme, si decide il soggetto e il metodo di realizzazione, arrivando alla finalizzazione.

 


Queste immagini documentano il lavoro di Ahmad, Maestro di Karate: attraverso un video, dal titolo Vathi Sporting Club, ha voluto rappresentare il dissidio fra ciò che è e ciò che gli viene concesso di fare a causa della sua condizione di migrante. Sull’asfalto di un parcheggio, ci propone i suoi movimenti così come li avrebbe eseguiti in una palestra di Sulymanyya, la sua città, lasciandosi gradualmente andare verso la frustrazione e l’errore.

“Che importanza può avere il mio talento in una situazione come questa?”

Day 8_ Karate: What I used to be
Day 8_ Karate: What I used to be